Antitrust: indagine conoscitiva sui rifiuti urbani

Nell’agosto del 2014, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha avviato un’Indagine conoscitiva nel settore della gestione dei rifiuti urbani, a seguito di numerose segnalazioni che suggerivano la presenza di diverse criticità concorrenziali nel settore.

In particolare, sembrava emergere un quadro critico plasmato dallo storico localismo delle amministrazioni comunali che ha determinato una struttura di mercato polverizzata, con un gran numero di operatori di piccole dimensioni, il frequente ricorso all’affidamento del servizio in via diretta e senza gara (cd. in-house providing) e una durata degli affidamenti eccessivamente lunga, fattori che non hanno consentito alcun dinamismo nell’offerta del servizio.

Il contesto problematico da cui ha preso le mosse l’analisi dell’Antitrust include anche un eccessivo ampliamento della privativa comunale, dovuto alla prassi di comprendere nel perimetro di attività riservate al gestore della raccolta di rifiuti urbani anche la raccolta di una parte consistente di rifiuti speciali (attraverso la cosiddetta “assimilazione” dei rifiuti speciali agli urbani), nonché la gestione delle fasi a valle della raccolta (attraverso la cosiddetta “gestione integrata” dell’intero ciclo dei rifiuti), le quali, invece, si prestano a una gestione più concorrenziale e comunque esterna alla privativa comunale.

Il quadro presenta poi una regolazione (in buona parte locale) molto restrittiva dell’accesso ai mercati del trattamento meccanico-biologico (TMB) e della termovalorizzazione (TMV) dei rifiuti indifferenziati, che ha determinato una significativa sotto-capacità impiantistica in tali settori. Emerge, invece, l’eccessivo ricorso allo smaltimento in discarica: in Italia circa un terzo dei rifiuti urbani viene smaltito in discarica, mentre in Germania, Belgio, Paesi Bassi e Svezia si registrano percentuali di smaltimento inferiori all’1,5% del totale dei rifiuti urbani. Secondo le stime elaborate nell’Indagine, se non dovesse aumentare la raccolta differenziata servirà un incremento di almeno il 50% della attuale capacità di termovalorizzazione per far fronte al fabbisogno nazionale.

Le proposte

Più in dettaglio, per quanto riguarda le modalità di affidamento del servizio, l’Antitrust ritiene che, al fine di garantirne l’efficienza, gli Enti Locali debbano privilegiare il ricorso alle gare e procedere all’affidamento diretto senza gara solo se sono rigorosamente rispettati i requisiti formali imposti dall’ordinamento europeo per l’in-house providing, ma anche, e soprattutto, se l’affidatario diretto raggiunge il livello medio di efficienza riscontrabile nel settore (cosiddetto benchmarking di efficienza).

Gli affidamenti, inoltre, non dovrebbero superare la durata massima di cinque anni stabilita per via normativa ed eccezionalmente derogabile da parte degli Enti Locali solo dietro adeguata motivazione.

Con riferimento poi alle dimensioni dei bacini per l’affidamento del servizio di raccolta e dei cosiddetti Ambiti Territoriali Ottimali (ATO), all’interno dei quali deve avvenire l’intera gestione dei rifiuti urbani, l’Antitrust ritiene che queste debbano essere funzionali alla realizzazione di un servizio efficiente e alla concorrenzialità delle gare. I bacini per l’affidamento della raccolta, dunque, possono essere più o meno ampi a seconda delle caratteristiche del territorio e dalla presenza di economie di scala (o di densità). In ogni caso, laddove essi siano di dimensione eccessivamente ridotta,  i relativi territori dovrebbero essere aggregati in un unico lotto da mettere a gara, mentre nel caso dei Comuni molto grandi i bacini dovrebbero essere frazionati in più lotti. Viceversa, gli ATO dovrebbero essere di dimensione quantomeno pari al territorio regionale, al fine di garantire che in un mercato liberalizzato gli affidatari del servizio di raccolta possano fare riferimento a un numero adeguato di impianti di TMB, di TMV e di discariche e non siano dipendenti da pochi soggetti dotati di potere di mercato.

In tema di ampiezza della privativa comunale affidata dagli Enti Locali, l’Antitrust ritiene che il quadro normativo debba essere finalmente completato con l’emanazione dei uniformi criteri di assimilazione dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani che restringano il perimetro della privativa comunale ed eliminino l’attuale discrezionalità dei Comuni in materia.

In relazione alle fasi a valle della raccolta indifferenziata, l’Antitrust considera auspicabile lo sviluppo della “concorrenza” tra forme di gestione che, da un lato, disincentivi il conferimento in discarica, per esempio attraverso un’ecotassa (consentendo il raggiungimento dell’obiettivo “discarica zero”), e dall’altro lato, renda economicamente più conveniente il ricorso ai TMB e ai TMV.

L’Indagine conoscitiva dell’AGCM ha, infine, puntato i riflettori anche sulla gestione della frazione differenziata della raccolta urbana, e specialmente dei rifiuti da imballaggio, che ne rappresentano una grossa fetta. Gli obblighi ambientali europei richiedono ai produttori di imballaggio di farsi carico dei costi di gestione dei loro prodotti una volta diventati rifiuti. Al fine di consentire ai produttori di ottemperare a tali obblighi, il Legislatore italiano ha predisposto un sistema che si basa sul sostanziale monopolio del CONAI e dei consorzi di filiera. In particolare, il modello attuale prevede che i produttori finanzino (attraverso il pagamento di un contributo ambientale che è uguale per tutti i produttori di imballaggi di un medesimo materiale) il sistema consortile, che agisce come soggetto promotore della gestione degli imballaggi, principalmente attraverso la copertura di parte dei costi sostenuti dalle società di raccolta e il successivo collocamento sul mercato dei materiali derivanti dalla selezione.

Questo modello ha contribuito significativamente all’avvio e al primo sviluppo della raccolta differenziata urbana e del riciclo in Italia. Ma ormai sembra aver esaurito la propria capacità propulsiva e produce risultati non più al passo con le aspettative. Il finanziamento da parte dei produttori (attraverso il sistema CONAI) dei costi della raccolta differenziata non supera il 20% del totale, laddove invece, dovrebbe essere per intero a loro carico. Inoltre, anche se in Italia si ricicla nel complesso il 68% degli imballaggi immessi al consumo (dati 2014), l’intervento diretto di CONAI riguarda solo poco più della metà di tale attività (il 33%, infatti, sarebbe riciclato comunque attraverso un sistema “spontaneo”).

L’esperienza di altri Paesi Europei offre utili suggerimenti per una riforma che ampli gli spazi per la concorrenza in coerenza con gli obblighi ambientali dei produttori. Il modello verso il quale muoversi dovrebbe essere la creazione di un mercato dei sistemi di gestione (cosiddetti compliance scheme) che, in concorrenza tra loro, offrano ai produttori di imballaggi il servizio di gestione dei relativi rifiuti. Nel medio-lungo periodo, e mantenendo gli opportuni obblighi di servizio pubblico, sarebbe poi opportuno conferire ai compliance scheme, finanziati dai produttori, la piena responsabilità finanziaria e gestionale della frazione della raccolta differenziata costituita dagli imballaggi confluiti nella raccolta urbana, inclusa la gestione della raccolta, lasciando nella responsabilità degli Enti Locali (e – in sostanza – dei cittadini utenti) soltanto la gestione e i costi della raccolta della frazione indifferenziata e della frazione organica.

In definitiva, si può dire che la concorrenza contribuisce a raggiungere gli obiettivi ambientali. D’altra parte, gli stessi obiettivi ambientali hanno anche una valenza pro-concorrenziale, in quanto il riciclo e il recupero consentono lo sviluppo di alcuni mercati (dei prodotti riciclati e dell’energia), contrariamente a quanto avviene con lo smaltimento in discarica.

Indagine

Fonte: www.agcm.it