Cop26, la voce degli ambientalisti

Secondo Legambiente dall’Accordo di Glasgow emerge che «Il Glasgow Climate Pact purtroppo ha rinviato al prossimo anno l’adozione della roadmap per ridurre le emissioni climalteranti al 2030 in linea con la soglia critica di 1.5° C. Sarà la COP27, che si tiene il prossimo anno in Egitto, a dover adottare la roadmap per dimezzare le attuali emissioni al 2030 attraverso la revisione annuale degli impegni di riduzione a partire dal 2022. Grazie anche alla riduzione graduale del carbone nelle centrali senza ccs ed all’eliminazione dei sussidi inefficienti alle fonti fossili, in modo da accelerare una giusta transizione energetica. Per la prima volta nei negoziati sul clima, con l’Accordo di Glasgow, si affronta la questione cruciale dell’abbandono dei combustibili fossili, anche se ancora in maniera inadeguata. Ma la loro strada è ormai segnata». “L’Accordo di Glasgow è inadeguato a fronteggiare l’emergenza climatica soprattutto per le comunità più vulnerabili dei paesi poveri, ma si mantiene ancora vivo l’obiettivo di 1.5°C”. Così Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente commenta l’intesa firmata a Glasgow che per l’associazione ambientalista non è delle migliori. “Tra i punti dolenti –continua Ciafani – c’è la questione cruciale dell’abbandono dei combustibili fossili affrontata in maniera inadeguata.E il fatto che non sia stato fatto nessun passo in avanti sulla creazione del fondo Loss and Damage Facility per aiutare i paesi poveri a fronteggiare la crisi climatica, e sui cui a Glasgow è mancato un forte impegno da parte dell’Europa. Per fronteggiare la crisi climatica e per centrare l’obiettivo di 1.5°C è fondamentale che tutti i paesi più avanzati, a partire dall’Italia, aumentino al più presto i propri impegni di riduzione delle emissioni climalteranti e garantiscano un adeguato sostegno finanziario all’azione climatica dei paesi più poveri”

Per Jennifer Morgan, direttrice esecutiva di Greenpeace International, «E’ un accordo debole e manca di coraggio. L’obiettivo di limitare il riscaldamento globale entro la soglia di 1,5° C è appeso a un filo ma è stato dato un chiaro segnale: l’era del carbone è agli sgoccioli e questo conta. Mentre si riconosce la necessità di tagliare in modo drastico le emissioni già in questo decennio, gli impegni sono stati però rimandati al prossimo anno.. Tutto quello che siamo riusciti a ottenere è stato solo grazie ai giovani, ai leader indigeni, agli attivisti e ai Paesi più esposti agli impatti della crisi climatica, che hanno strappato qualche impegno concesso a malincuore. Senza di loro, questi negoziati sarebbero stati un completo fallimento. Il nostro clima, un tempo stabile, è stato profondamente alterato, come dimostrano ogni giorno gli incendi, gli uragani, la siccità e la fusione dei ghiacciai. La COP26 ha fatto qualche progresso nell’adattamento ai cambiamenti climatici: i Paesi sviluppati hanno finalmente cominciato ad ascoltare le richieste dei Paesi in via di sviluppo, aumentando i finanziamenti necessari per affrontare l’aumento delle temperature. E’ stato riconosciuto che i Paesi più vulnerabili stanno già subendo perdite e danni reali a causa della crisi climatica, ma quel che è stato promesso non si avvicina neppure a ciò che sarebbe necessario. Questo problema deve essere in cima all’agenda dei Paesi sviluppati alla COP che l’anno prossimo si terrà in Egitto.

Il Wwf in una nota ricorda che «Siamo venuti a Glasgow aspettandoci dai leader globali un accordo che prevedesse un cambio di passo nella velocità e nella portata dell’azione climatica. Anche se questo cambio di passo non è arrivato, e il testo concordato sia lontano dalla perfezione, ci stiamo muovendo nella giusta direzione.  I governi dovevano fare progressi per risolvere tre grandi lacune: la mancanza di obiettivi di riduzione delle emissioni nel breve periodo, la mancanza di regole per fornire e monitorare i progressi fatti, e l’insufficiente finanziamento all’azione climatica necessaria per indirizzare il mondo verso un futuro più sicuro».

Il Wwf riconosce che alcuni progressi sono stati fatti: «Ora i Paesi hanno nuove opportunità per realizzare ciò che sanno che deve essere fatto per evitare la catastrofe climatica. Ma se non faranno leva sull’attuazione concreta dell’azione per il clima e non mostreranno risultati sostanziali, la loro credibilità sarà sempre a rischio» Ma sottolinea che «La COP26 si è conclusa con decisioni deboli in una serie di aree importanti, tra cui l’adattamento, il cosiddetto Loss and Damage (perdite e danni) e la finanza climatica. Occorre però riconoscere che nel testo ci sono degli appigli significativi che i paesi possono sfruttare per aumentare le proprie ambizioni climatiche a breve termine e per implementare politiche climatiche vincolanti. Questa COP per la prima volta menziona i sussidi ai combustibili fossili in un testo finale approvato. Questo è un elemento importante, così come il riconoscimento della necessità di accelerare gli investimenti in energia pulita, garantendo allo stesso tempo una giusta transizione».

E’ importante il fatto che il testo finale riconosca il ruolo critico della natura nel raggiungimento dell’obiettivo di 1,5°C, incoraggi i governi a incorporare la natura nei loro piani climatici nazionali e stabilisca un dialogo annuale sugli oceani per la mitigazione basata sugli oceani. La natura è veramente arrivata alla COP26. I leader stanno finalmente riconoscendo che l’azione per proteggere e ripristinare la natura deve essere al centro della nostra risposta alla crisi climatica, insieme ad una completa trasformazione del sistema energetico.

Durissimo il commento di A Sud: «Occorrerà attendere infatti altri 12 mesi, la fine del 2022, per fare un bilancio sulla revisione (si spera al rialzo) degli NDC nazionali, ovvero dei contributi di riduzione delle emissioni che ogni Paese parte è chiamato a elaborare. Nel frattempo, nel capitolo dedicato alla mitigazione si accenna alla riduzione al 2030 delle emissioni di gas a effetto serra, invitando ad accelerare l’eliminazione dell’energia prodotta da quelle fonti la cui tecnologia “non permette di abbattere le emissioni”. Tradotto: riduciamo il carbone ma via libera al gas e alle tecnologie come la cattura e lo stoccaggio dell’anidride carbonica. Tecnologie che non risolvono il problema ma lo spostano in avanti nel tempo, oppure dall’atmosfera al sottosuolo. Con le decisioni in campo, includendo anche i timidi passi di Glasgow, gli scenari a fine secolo sono desolanti. Dai +2,4° C calcolati dal CAT ai quasi +5° C prospettati nel peggior scenario IPCC al 2100. Significa indicatori climatici impazziti, migrazioni di massa, conflitti armati. La fine del mondo per come lo conosciamo».

Marica Di Pierri, portavoce di A Sud, fa notare che «Gli impegni presi a Glasgow spostano ancora in avanti gli orologi rimandando ai prossimi incontri la decisione più importante: l’aumento dei target di riduzione delle emissioni. Non c’è neanche l’ombra dell’atteso accordo globale sul phase out dal carbone. Sul metano il passo avanti è minimo. I 5,7 trilioni di dollari di sussidi globali alle fonti fossili potranno continuare ad essere erogati senza disturbo. A meno che non siano “inefficienti” dunque degni di essere “gradualmente” eliminati. Il multilateralismo sarà pure faticoso e basato sul compromesso, ma l’incapacità di mettere sul tavolo impegni concreti ha un prezzo troppo alto da pagare, è un futuro di devastazione imposto come destino a tutti i popoli del pianeta».

Fonte: Greenreport